Meno di 100 giorni di condanna a vittima. 21 sono gli anni che Anders Behring Breivik deve scontare per aver ucciso 77 persone il 22 luglio 2011. Il terrorista, l’uomo che voleva depurare il suo paese da una progressiva islamizzazione ha ora deciso che il suo nemico è la giustizia norvegese, e ha deciso di combatterla portando lo stato in aula di tribunale, denunciando le condizioni di detenzione a cui è sottoposto. E ha fatto bene.
21 anni sono la pena massima secondo il sistema giudiziario Norvegese. Un tempo estendibile, nel caso in cui venga considerato un rischio per la società allo scadere della reclusione. Per farsi condannare a più anni, bisogna spingersi a commettere genocidio, o crimini di guerra. Per questa sua norma, la Norvegia non comprese nel 2011 la “sorpresa” del resto del mondo ad una pena che sembrava cosi poco severa. La detenzione norvegese però non ha uno scopo punitivo. L’obbiettivo è quello di far comprendere la gravità delle proprie azioni, empatizzare con le vittime, ed essere pronti al reinserimento in società per poter restituire, simbolicamente, ciò che si è preso. Una sorta di riabilitazione, più che di punizione.
Ne è un esempio il carcere di Bastoy, un’isola a circa 70 km dalla capitale, dove i detenuti, che includono assassini e stupratori, si occupano dell’ambiente, tagliano la legna, allevano animali e coltivano gli orti, e alcuni addirittura si recano sulla terraferma, usando traghetti guidati a loro volta da altri detenuti, per lavorare. Poi tornano alle loro case, senza sbarre, in un’area senza recinzioni. Forse un progetto idealista, ma stando ai dati sembra funzionare. Nei due anni successivi alla liberazione solo il 20% dei criminali commette di nuovo reato e si dimostra recidivo, mentre l’80% si reinserisce nella società come un normale cittadino.
Ecco allora che le “terribili” condizioni a cui era sottoposto Breivik nella prigione di Skein, a 130 chilometri da Oslo, assumono un senso. Eppure, più che di una cella, sembra la descrizione di un alloggio su Air BnB. Un trilocale di 31 metri quadrati diviso in stanza letto, stanza palestra e stanza lavoro, più angolo cucina, servizi e lavanderia. Arredamento Ikea ovviamente. Televisore e computer a completa disposizione, ma senza accesso ad Internet. Il modello della Playstation però è il secondo, datato 2000, e non il terzo, uscito nel 2006. Un errore imperdonabile. Fortunatamente gli è sfuggito che esiste anche il quarto modello, uscito nel 2013. Altrimenti chissà chi si sarebbe trovato sul banco degli imputati.
Dopo 5 anni di reclusione, Brievik, ha citato in giudizio lo stato della Norvegia. E ha vinto. Perché? Perché non è stato rispettato l’Articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, ed il trattamento riservato al criminale è stato giudicato “inumano e degradante”. Lo stato dovrà risarcirgli un indennizzo di 330mila corone norvegesi, cioè circa 35mila euro. A lui, un detenuto dal comportamento esemplare, che si è visto privato di posate che non fossero di plastica, che ha dovuto bere il caffe freddo e non tiepido, che non aveva a disposizione abbastanza burro. A lui, che ha fatto esplodere una bomba di fronte all’ufficio del primo ministro Jean Stoltenberg, provocando otto vittime e oltre duecento feriti. Proprio a lui, che ha premeditato l’uccisione di tutti i Giovani Laburisti, nessuno escluso, presenti all’annuale campo estivo sull’isola di Utoya nel lago Tyrifjorden, perché considerati il male assoluto per la purezza della Norvegia. A lui, che si è arreso spontaneamente alle forze dell’ordine dopo aver compiuto il più grande massacro nella storia della Norvegia dalla seconda guerra mondiale. A lui che non ha potuto socializzare con gli altri detenuti perché in isolamento.
Il professor Kjetil Larsen dell’Istituto Norvegese per i diritti umani ha detto che il trattamento riservato a Breivik non violava assolutamente la Convenzione. Essendo un detenuto estremamente pericoloso, i contatti con l’esterno devono essere limitati e filtrati, ed il rischio che possa allearsi con altri detenuti è altissimo. Lo stesso Breivik aveva dichiarato che il carcere è il miglior luogo di reclutamento. Psicologi e dottori interpellati hanno negato che lo stato fisico e mentale del detenuto si sia aggravato nei 5 anni della detenzione. O meglio dire, riabilitazione. Eppure, il Neo Nazista più conosciuto d’Europa lamentava mal di testa cronici e si sentiva troppo solo, e quindi un po’ depresso.
Invece questi dottori si sono sbagliati, perché Breivik, pur rimanendo un narcisista folle, ora è più democratico, e la sua richiesta di essere trattato secondo i suoi diritti lo dimostra. Si aspetta che venga rispettato un principio alla base della democrazia occidentale, e si aspetta che il suo Stato possa essere colto in errore.
Il giudice Helen Andenaes Sekulice, nel giustificare in aula la sentenza, ha sottolineato che il detenuto probabilmente passerà ciò che resta della sua esistenza in reclusione, quindi non ha senso lasciarlo solo 23 ore al giorno. «La corte non vede le basi per concludere che egli rappresenti un rischio estremo all’interno dell’ala di massima sicurezza della prigione», ha scritto. Alcuni accusavano il detenuto di esagerare, di fare la vittima. La corte ha risposto anche a loro, stabilendo che costituirebbe un fattore assai più grave se Breivik non manifestasse i suoi problemi di salute, piuttosto che se mentisse a tal proposito. «Vuole essere sano, ed aspira ad emergere come un leader» ha aggiunto il giudice, condannando il comportamento delle guardie che non avrebbero tenuto conto dei problemi mentali del detenuto, affetto da un “disturbo della personalità narcisista e istrionica”, oltre che da un disturbo antisociale della personalità. In questo senso ha ragione il suo avvocato quando dice che «Anders ha bisogno di interagire con gli altri». Tutti questi disturbi sono stati ri-confermati durante il processo, in cui il carcerato ha ribadito la sua dedizione al Nazismo e si è paragonato a Nelson Mandela, vincitore del premio Nobel per la pace.
I continui controlli e perquisizioni, non sono proporzionati, e alimentano un sentimento di punizione e repressione, invece che di crescita e riabilitazione. Ribadiscono continuamente che la società lo vede ancora come un terrorista, e ciò significa giocare al suo gioco. Perché Breivik non è esponente di un gruppo terrorista, ma comandante di un esercito formato da lui solo, i “Cavalieri dei Templari d’Europa”. Il suo libro “2083 – Una dichiarazione europea d’indipendenza” non è un manifesto politico, ma un libro fantasy.
E allora chiamiamolo esaltato, ma trattiamolo da persona normale. Diamogli i suoi diritti, dimostriamogli che le sue follie ispirate a World of Warcraft continuano ad esistere solo nella sua testa, che la realtà è ben diversa. Il suo non è stato un atto politico, non è stato un rischio per lo Stato. Non è stato neanche il culmine dell’insorgere delle politiche di estrema destra nell’Europa contemporanea. È stata una follia, che ha ferito l’anima della Norvegia, e forse dell’Europa, ma non ha scalfito le sue fondamenta.
Il giudice ha ricordato alla fine del processo che la Convenzione dei Diritti Umani va rispettata anche nel caso di terroristi e killer. Quindi vale anche per l’uomo che è entrato in tribunale con il braccio destro alzato, inflessibile nella sua fede ai valori nazisti.
Anche lui ha diritto ad un trattamento che non sia inumano. Perché ciò che distingue il mostro neonazista dalla democrazia del suo paese, è proprio il principio che ha permesso questa sentenza.
Tutto sommato, la condanna della Norvegia, è una vittoria della Democrazia. Ed una sconfitta per Anders Behring Breivik.